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Per una sera di pazzia

Il sole è già sparito dietro l’orizzonte, lasciando il posto a un crepuscolo infuocato; è tardi, ma sto guidando più piano del solito: arrivata a casa qualcosa poi mi inventerò.
Tanto mio marito crede a qualsiasi cosa che dico: poveretto, penso. Nemmeno immagina che sto guidando piano perché di tornare a casa non ne ho il coraggio, perché vorrei togliermi d’addosso l’odore dell’altro.
Avrei dovuto capirlo subito, che quel collega era pericoloso, appena ho iniziato a lavorare lì, giusto qualche mese fa. Ricordo il suo primo sguardo, magnetico, penetrante, difficile da evitare; come una freccia che ti colpisce in pieno petto. Subito ho distolto gli occhi e il pensiero; figuriamoci, proprio io, sposata, un figlio, un cane, non mi metto certo a farfalleggiare in giro.
E poi quegli occhi, avevo pensato, erano per tutte; non erano certo un regalo speciale per me: di certo le guardava tutte in quel modo, e chissà quante già ci erano cadute dentro.
Quel primo giorno mi ero anche vestita elegante, per fare una buona impressione; ma tanto nei giorni a venire quante volte sarei andata a lavorare con la prima cosa che mi capitava per mano, o con i capelli raccolti perché non ho avuto tempo di lavarli la sera prima. Lui, avevo pensato, avrebbe imparato presto a non guardami più.
Poco dopo ho scoperto che avrei lavorato proprio nella scrivania di fronte a lui.
Ogni giorno mi bastava alzare gli occhi ed era lì; a volte li alzava anche lui, e mi sorrideva.
Crudele vita, crudele Dio. Perché lo avete fatto? Proprio a me che non ne avevo intenzione, a me, innocente e fedele sposa, dolce e premurosa madre, tutta casa e lavoro?
Perché non mi avete spinta ad allontanarmi da lui, dai vestiti sobri ma eleganti, dai caffè gentilmente offerti, dai discorsi che cercava di intavolare con me?
Come una stupida gli ho detto di avere l’auto dal concessionario a fare il tagliando. Lui si è offerto di accompagnarmi fin là, oh, certo che lo ha fatto.
Con gli altri colleghi non sono ancora in confidenza, di chi avrei potuto fidarmi? Ma di lui, ovvio!
Che sciocca che sono.
Stava guidando lungo la strada, e dopo aver cambiato marcia ha messo la sua mano sulla mia; era così calda e confortevole. In pochi secondi non solo la mia mano era calda, tutto il mio corpo avvampava.
Mi sono ammutolita all’istante, ma non gliel’ho tolta, accidenti a me che non l’ho fatto!
Si è fermato davanti alla concessionaria e ci siamo guardati; stavo per dire qualcosa quando ho visto il suo viso venire verso di me, e non l’ho evitato, signori della giuria, sempre bravi a giudicare gli altri, non mi sono spostata.
Ho lasciato che quelle labbra toccassero le mie, ne ho assaporato la calda morbidezza mentre il corpo si scioglieva, e poi ho socchiuso le mie, sì, ed ho lasciato che una lingua con uno strano sapore di sconosciuto penetrasse la mia bocca.
Di questo sono colpevole, lo ammetto.
Le mie attenuanti?
Casa, lavoro mio, lavoro suo, bambino che piange, bambino da portare qui, bambino da portare là.
Non rimaneva un po’ di tempo per la passione, per un bacio dato bene, per un po’ di sesso fatto liberamente, gridandosi a vicenda il proprio piacere, senza la paura che il bimbo senta.
Così è successo che in quel bacio ho perso la testa.
Avrei avuto tempo per ripensarci, ma non l’ho fatto: ho ritirato la mia auto, e l’ho seguito in un posto appartato. Sono scesa, sono entrata nella sua, e l’ho baciato, e baciato ancora, mentre sentivo il mio corpo e il mio sesso andare a fuoco. Ho lasciato che lui abbassasse la zip della mia gonna, che mi sfilasse le mutandine.
Ho lasciato che le sue mani esplorassero la mia nuda intimità, mentre la mia mente si perdeva. Poi mi sono sdraiata sul sedile e mi sono lasciata prendere, gridando e ringhiando come un animale.
Non so se potete capire il bisogno che avevo di urlare.
Quando abbiamo finito è stato come risvegliarsi da un sogno: senza dire più una parola mi sono rivestita, con il suo sudore ancora addosso, e sono tornata nella mia auto. Come un automa ho acceso il motore e ho iniziato a guidare.
Me lo sento ancora addosso, il suo odore.
Lui non lo sentirà, non credo: gli uomini hanno un olfatto meno sensibile di noi donne; basterà correre dentro la doccia, appena arrivata a casa, e tutto tornerà a posto.
Ed invece so che non sarà così.
Come farò a guardarlo negli occhi, a fare di nuovo l’amore con mio marito, sapendo di averlo tradito? E come farò, domattina, ad alzare gli occhi e guardare l’altro, che magari ora pensa che io sia la sua amante?
Credo che mi toccherà persino cambiare lavoro: come potrò lavorare con lui davanti a me, a ricordarmi per sempre quello che ho fatto.
Non le voglio vivere, Dio, le prossime ore, i prossimi giorni; fammi scomparire, fai finire qui la mia vita, manda in sovraimpressione i titoli di coda, e buona così.
Ho rovinato tutto, la mia famiglia, la mia carriera, la mia stessa vita: tutto quel che avevo costruito finora è svanito così.
Per una sola, stupida, idiota sera di pazzia.

© 2023 Stefano Remigio

Depositato con marcatura digitale

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