Sofia
La fiamma scoppiettò prima di accendersi con un lieve crepitio;
la avvicinò al bastoncino, finché questo prese fuoco per un attimo, per poi trasformarsi in un sottile cilindro di brace rossa che nella penombra si estendeva, consumandolo.
Il buio era ormai calato da tempo sulla città, e dai vetri delle sue finestre.
Accese la tenue luce rossa che teneva per le occasioni speciali che poi, in realtà, ormai capitavano sempre più di rado.
Si sdraiò sul letto, mentre il profumo del bastoncino di incenso si spandeva nella stanza.
Quella sera silenziosa era perfetta.
La luce nella stanza era perfetta.
Quel profumo d’incenso era perfetto.
Perfino la sua erezione era perfetta.
Mancava solo lei, l’oggetto dei suoi desideri, poetici e allo stesso tempo carnali. La destinataria delle sue poesie.
Sofia.
Non la conosceva, non ancora, ma era così che l’aveva sentita chiamare dalla sua collega. Un giorno, seguendole con discrezione, fingendo di passeggiare senza una meta, era riuscito ad ascoltare qualche parola della loro conversazione.
E da allora quel nome gli era esploso nella mente.
Sofia, che lavorava giusto qualche isolato più in là.
Sofia, che andava in mensa con i suoi colleghi.
Sofia, labbra di rossetto morbide, Sofia, occhi dolci dietro gli occhiali da sole.
Sofia e la sua minigonna, Sofia e i suoi tacchi.
Sofia e il suo sedere che ondeggia mentre cammina.
Sofia e i suoi capelli dorati che le sfiorano la schiena.
Un lampo di luce tra i suoi occhi, ed il piacere esplose dentro di lui.
«Sofia.» - disse in un sospiro, spegnendo la luce rossa.
Il giorno dopo camminava nel parcheggio già affollato, come era solito fare dopo pranzo; alzò gli occhi e la vide camminare verso di lui, parlando con una collega.
Come sempre è con qualcuno - pensò.
Ma poi, si, disse, cosa sarebbe cambiato?
Un paio di volte gli era capitato di incrociarla da sola, ma non aveva avuto il coraggio di parlare con lei.
Appena prima di arrivare vicino a lui, vide che lei rallentò, mentre la collega proseguiva.
«Hei, scusa…» - gli disse, quando fu di fronte a lui
Sentì il cuore battere all’impazzata, e la gola bloccarsi.
«Si…!?» - riuscì appena a rispondere.
«Sei tu che hai messo quelle poesie sul vetro della mia auto, vero?» - lo affrontò lei.
«Beh, io…ecco… cosa te lo fa pensare?»
«Sei tu, dai. Una mia collega ti ha visto. Non hai nemmeno il coraggio di dirmelo?» - gli disse, con voce scocciata.
«Ecco, io…spero di non averti messa in imbarazzo»
«Sono cose che fai spesso?»
«N...no, non spesso» - provò a difendersi lui.
«Non dovresti, infatti. Io ho un fidanzato, vedi? E a volte mi viene a prendere qui. Le mie colleghe lo conoscono.»
Appoggiò le mani sui fianchi, inclinando leggermente la testa.
«Dovresti informarti, parlare, prima di lasciare poesie a casaccio sull’auto di qualcuna. Chi cazzo sei? Chi ti conosce?» - gli disse.
«Scusami…ma...» - disse lui, abbassando gli occhi.
«Fa che non succeda più.» - troncò lei, allontanandosi poi di fretta.
Lui restò fermo sotto il sole a guardare il suo corpo, le curve tanto desiderate, allontanarsi, realizzando che non le avrebbe mai avute più vicine di così.
Sentì il suo petto farsi pesante.
Ma perché finiva sempre per esserci qualcun altro?
Perché c’era sempre qualcuno che era arrivato prima di lui?
Oppure, quando già non c’era, qualcuno comunque poi arrivava, in corsa, e lo scavalcava, buttandolo da una parte, come uno stupido ciottolo per strada.
Un sorriso ironico gli si disegnò sul volto.
Avrebbe dovuto cambiare il nome nelle sue poesie, pensò.
Ma ecco che un’immagine dolorosa gli si presentò prepotente nella mente; cercò di scacciarla in tutti i modi, ma quell’immagine crudele e sadica continuava a ripresentarsi.
Sofia, nuda sotto una sottile vestaglia di seta.
Due mani spostano le spalline della vestaglia, che cade frusciando ai suoi piedi.
Una bocca che immonda si appoggia sulla sua.
E quella lingua, maledetta, che si mischia con quella di Sofia, alle labbra che lui aveva sognato, bramato, tutti i giorni, da un mese ormai.
No, no!
Come puoi, mostro, essere abietto, violare quella bocca così dolce, quelle labbra così morbide.
Una mano blasfema le stringe il seno ormai turgido.
Le gambe di Sofia, le sue cosce meravigliose e lisce, toccate dalle sue dita, che frugano senza ritegno nel suo piacere.
Le cosce di Sofia, che lui tanto aveva sognato e adorato, sulle quali avrebbe scritto racconti e poesie, che si aprivano, invece, incuranti della sua passione, ad accogliere la virilità di un altro uomo.
Una lacrima scese lungo la sua guancia.
Ma perché?
Perché è successo di nuovo?
Non era giusto, no.
Ma quando mai la vita è giusta?
La vita va avanti per i fatti suoi, non le importa delle tue passioni, dei tuoi sentimenti, non le importa se proprio quella donna tu stia sognando.
- Sono cavoli tuoi, se la sogni – ti direbbe, se potesse parlare.
Ma non parla nemmeno, la crudele : lei non è qui per darti una mano,
non è fatta per darti quello che vorresti.
Quante volte, e lui lo sapeva bene, sa farti piangere, proponendoti le situazioni con un assurdo tempismo, con un sadismo che neanche riusciresti ad immaginare, sbattendotele in faccia, violente come un pugno.
Si, proprio lui. Si, proprio con lei. Proprio con quella donna che vorresti per te.
Perché di quel che vuoi tu, alla vita, importa ben poco; sei tu che devi adattarti; sopportare in silenzio le sue frustate, e soccombere.
Oppure spostarti in tempo, se ce la fai; prima che arrivino.
La vita non ti fa sconti.